Domenica 23 marzo 2008
Pasqua
1. Quando tu guaderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere. E quando ti sarai consolato sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra così, per il piacere. E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: “Sì, le stelle mi fanno sempre. ridere!”.
2. Nessuno vi ha mai risuscitato? Nessuno vi ha mai parlato, perdonato, amato abbastanza da risuscitarvi? Non avete mai assistito a delle resurrezioni? Avete mai risuscitato qualcuno? Avete mai sperimentato la potenza di vita che nasce da un sorriso, da un perdono, dall’accoglienza in una vera fraternità? Come credere in una resurrezione futura se non avete mai avuto esperienza di una resurrezione immediata? Come potete credere che l’amore è più forte della morte se non vi ha mai resi vivi? Se non vi ha mai risuscitato dai morti?
(L. Evely)
3. Pasqua è una festa difficile. Affermare che la vita può nascere dalla morte, la luce dalle tenebre e la gioia da una tristezza disperata, ci sembra superiore alle nostre forze umane. Si trattasse solo di celebrare la vicenda personale del Figlio di Dio assassinato dagli uomini e risuscitato dal Padre, le cose non sarebbero così dure. Ma affermare che l’uomo concreto, ciascuno di noi, è inserito in una economia di salvezza dove la morte - nelle sue infinite forme - è vinta, dove la bontà è l’esito di ogni cattiveria, questo ci sembra davvero troppo.
Che può fare una creatura umana quando la bellezza è crocifissa e la violenza prende il posto di ogni convivenza benevola? Nulla verrebbe da dire. Solo rassegnarsi. Il massimo ci sembra indicato nella nostra cultura dall’agire di alcune donne: Antigone nell’antichità e le donne del Vangelo di cui parla Matteo. Ma cosa è seppellire un fratello morto? Cosa è cercare un cadavere da ungere con gli oli rituali? Crolla tutto davanti alla morte ed anche questo gesto supremo di pietas, in fondo, a che serve? La fedeltà all’amore di queste donne ci commuove ma finisce per intristirci ancora di più. È come ritenere di avere rischiarato l’universo accendendo una candelina. Nessun “terremoto” del resto rovescia le nostre pietre tombali, niente e nessuno le trasforma in “pietre pasquali” restituendoci chi abbiamo amato più di noi stessi o quella dignità che il cinismo ci ha tolto. Viviamo tempi amari e molte zone d’ombra non solo non si rischiarano ma sembrano moltiplicarsi. Ogni giorno decretiamo la morte gli uni degli altri. Cos’è l’angoscia che creiamo? La paura che incutiamo? Il cinismo che premiamo? Ma quanto è difficile dirci l’un l’altro che la comprensione, l’empatia, la tenerezza sono ancora vive e la libertà di amare una esperienza possibile! L’industria della morte è ancora trainante nel mondo. Il dio-denaro è davvero cannibalico. Non ama la vita, ma la strumentalizza soltanto. C’è la corruzione che fa tramontare ogni giustizia e c’è la diffidenza che crea muri insormontabili. In questo clima dove la vita è uccisa e, a guardia, perché essa non torni a fare sognare di nuovo i cuori degli uomini, ci sono grossi macigni rotolati con cura e guardie armate per la sicurezza dei mandanti, in questa atmosfera mi vedo come le donne “all’alba del primo giorno della settimana”. Cammino a tentoni, col buio del mio cuore, più disposto a piangere su ciò che sembra tramontato del tutto che a credere in un ritorno dello splendore della vita. Non sempre mi aiuta la Chiesa, turbata, perplessa - nei fatti - tra il dare voce alla speranza di “angeli” che su quei macigni si sono seduti, e il realismo di quanti dicono che la morte è invincibile su questa terra, tanto vale venire a patti con essa e cercare di ungere ancora una volta, per sempre, i corpi martoriati dei crocifissi. Per la Chiesa tutta, per il popolo di Dio, fare Pasqua oggi è accogliere l’invito celeste a non avere paura, a guardare vuoti i luoghi della sconfitta, a convincersi che ‘in Galilea’, nel nudo Vangelo, Lui è ancora visibile, udibile, pronto ad indicarci la strada della luce in questo tempo buio. Sarà una festa difficile la Pasqua, ma ne abbiamo un lancinante bisogno. E vorrei dire alle sorelle nella fede che l’annunzio della risurrezione è roba loro. Compito storico loro, che si sono ribellate alla morte ed hanno voluto onorare gli sconfitti delegittimando così ogni potere dell’uomo sull’uomo. È’ loro la missione di annunziare ai “fratelli” non solo che la pietra è rovesciata, che il sepolcro è vuoto, ma che ancora è nelle nostre possibilità accostarci all’impossibile: al “Verbo della vita che le nostre mani possono toccare ed i nostri occhi vedere”. Noi maschi, laici o in sacris che siamo, abbiamo bisogno di sentirci ripetere annunzi di “angeli folgoranti e biancovestiti”. Che possiamo lasciarci alle spalle le nostre voglie di successi, onori e soldi (proprio le voglie che oggi uccidono Cristo e lo stesso uomo), possiamo vivere di Vangelo, possiamo oltrepassare le bugie del potere imperiale che vuole morto per sempre “Cristo nostra vita”, possiamo essere umani, possiamo ritrovare il coraggio di affermare, contro ogni evidenza, che “un altro mondo è possibile”, che una Chiesa “altra” è possibile, che un uomo non più “conforme agli schemi di questo mondo” ma plasmato dalla “forma del Cristo” può camminare per le nostre città e lodare il Padre della vita nelle nostre Chiese.
(Angelo Scalia)
4. Celebriamo gli 80 anni della vita di Pedro Casaldaliga, quaranta dei quali passati dall’altro lato, all’interno dell’Amazzonia brasiliana. Lì, in una prelatura che abbraccia un terzo della Spagna, senza mai far ritorno da quando partì. “I poveri sono la pupilla dei miei occhi. Mi ha sempre spezzato il cuore vedere la povertà da vicino. Mi sono sempre trovato bene con gli esclusi. Sono incapace di assistere ad una sofferenza senza reagire. D’altra parte, non ho mai dimenticato di essere nato in una famiglia povera. Mi sento male in un ambiente borghese. Mi sono sempre chiesto perché, se posso vivere con tre camicie, ho bisogno di averne dieci nell’armadio. I poveri della mia prelatura vivono con due camicie, una addosso e l’altra di ricambio. Sono convinto che non si possa essere rivoluzionari nè profeti, nè liberi senza essere poveri. Se sono povero mi sento libero da tutto e per tutto. Il mio slogan e stato: essere libero per essere povero ed essere povero per essere libero”. Lo ha lasciato scritto in versi: “Non aver niente. / Non portare niente. / Non poter niente. / Non chiedere niente. / E, di passaggio, non uccidere nulla; / non mettere a tacere nulla. / Soltanto il Vangelo, come un coltello affilato, / e il pianto e il riso negli occhi, / e la mano tesa e stretta, / e la vita donata. / E questo sole, e questi fiumi, e questa terra comprata, / per testimoni di una rivoluzione già esplosa. / E più niente!”. Afferma”Credo, con la più tremante convinzione evangelica, che oggi, nel XXI secolo, un cristiano/a o è povero/a e/o visceralmente alleato/a dei poveri o non è. Nessuna delle note della Chiesa resta in piedi se si dimentica questa nota fondamentale, la più evangelica di tutte: l’opzione per i poveri”. La più grande passione della sua vita è il Dio di Gesù, una realtà ineludibile, una presenza certa, operante, mai svelata, che guida il nostro cammino, che anima tutto e verso cui tutto confluisce, il Dio degli esseri umani. Per Dio, per questo Dio ha optato Pedro ed è per questo Dio che ha optato per tutte le cause che ha fatto sue. Ha scritto Leonardo Boff: “Quando gli attuali e tormentati tempi saranno passati, quando i sospetti e le meschinità saranno stati ingoiati dalla voragine del tempo, quando ci guarderemo indietro e valuteremo gli ultimi decenni del XX secolo e gli inizi del XXI secolo, individueremo una stella nel cielo della nostra fede, rutilante, dopo aver fronteggiato nubi, sopportato oscurità e superato tempeste: è la figura semplice, povera, umile, spirituale e santa di un vescovo che, straniero, si fa compatriota, distante si fa prossimo e prossimo si fa fratello di tutti, fratello universale.
5. La mamma morì a soli 57 anni per un male incurabile. dopo terribili sofferenze; volle con sé nella bara tutti gli indumenti e oggetti che avevo portato a casa dopo la deportazione. Convinta che quei quattro stracci fossero quelli che mi avevano coperto a Mauthausen; fu un grande gesto d’amore, quasi un volere portare sempre con sé le mie sofferenze e quasi un dare inizio alla mia nuova vita di uomo ormai fatto.
(Marcello Martini, Un adolescente nel lager)
Pasqua
1. Quando tu guaderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere. E quando ti sarai consolato sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra così, per il piacere. E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: “Sì, le stelle mi fanno sempre. ridere!”.
2. Nessuno vi ha mai risuscitato? Nessuno vi ha mai parlato, perdonato, amato abbastanza da risuscitarvi? Non avete mai assistito a delle resurrezioni? Avete mai risuscitato qualcuno? Avete mai sperimentato la potenza di vita che nasce da un sorriso, da un perdono, dall’accoglienza in una vera fraternità? Come credere in una resurrezione futura se non avete mai avuto esperienza di una resurrezione immediata? Come potete credere che l’amore è più forte della morte se non vi ha mai resi vivi? Se non vi ha mai risuscitato dai morti?
(L. Evely)
3. Pasqua è una festa difficile. Affermare che la vita può nascere dalla morte, la luce dalle tenebre e la gioia da una tristezza disperata, ci sembra superiore alle nostre forze umane. Si trattasse solo di celebrare la vicenda personale del Figlio di Dio assassinato dagli uomini e risuscitato dal Padre, le cose non sarebbero così dure. Ma affermare che l’uomo concreto, ciascuno di noi, è inserito in una economia di salvezza dove la morte - nelle sue infinite forme - è vinta, dove la bontà è l’esito di ogni cattiveria, questo ci sembra davvero troppo.
Che può fare una creatura umana quando la bellezza è crocifissa e la violenza prende il posto di ogni convivenza benevola? Nulla verrebbe da dire. Solo rassegnarsi. Il massimo ci sembra indicato nella nostra cultura dall’agire di alcune donne: Antigone nell’antichità e le donne del Vangelo di cui parla Matteo. Ma cosa è seppellire un fratello morto? Cosa è cercare un cadavere da ungere con gli oli rituali? Crolla tutto davanti alla morte ed anche questo gesto supremo di pietas, in fondo, a che serve? La fedeltà all’amore di queste donne ci commuove ma finisce per intristirci ancora di più. È come ritenere di avere rischiarato l’universo accendendo una candelina. Nessun “terremoto” del resto rovescia le nostre pietre tombali, niente e nessuno le trasforma in “pietre pasquali” restituendoci chi abbiamo amato più di noi stessi o quella dignità che il cinismo ci ha tolto. Viviamo tempi amari e molte zone d’ombra non solo non si rischiarano ma sembrano moltiplicarsi. Ogni giorno decretiamo la morte gli uni degli altri. Cos’è l’angoscia che creiamo? La paura che incutiamo? Il cinismo che premiamo? Ma quanto è difficile dirci l’un l’altro che la comprensione, l’empatia, la tenerezza sono ancora vive e la libertà di amare una esperienza possibile! L’industria della morte è ancora trainante nel mondo. Il dio-denaro è davvero cannibalico. Non ama la vita, ma la strumentalizza soltanto. C’è la corruzione che fa tramontare ogni giustizia e c’è la diffidenza che crea muri insormontabili. In questo clima dove la vita è uccisa e, a guardia, perché essa non torni a fare sognare di nuovo i cuori degli uomini, ci sono grossi macigni rotolati con cura e guardie armate per la sicurezza dei mandanti, in questa atmosfera mi vedo come le donne “all’alba del primo giorno della settimana”. Cammino a tentoni, col buio del mio cuore, più disposto a piangere su ciò che sembra tramontato del tutto che a credere in un ritorno dello splendore della vita. Non sempre mi aiuta la Chiesa, turbata, perplessa - nei fatti - tra il dare voce alla speranza di “angeli” che su quei macigni si sono seduti, e il realismo di quanti dicono che la morte è invincibile su questa terra, tanto vale venire a patti con essa e cercare di ungere ancora una volta, per sempre, i corpi martoriati dei crocifissi. Per la Chiesa tutta, per il popolo di Dio, fare Pasqua oggi è accogliere l’invito celeste a non avere paura, a guardare vuoti i luoghi della sconfitta, a convincersi che ‘in Galilea’, nel nudo Vangelo, Lui è ancora visibile, udibile, pronto ad indicarci la strada della luce in questo tempo buio. Sarà una festa difficile la Pasqua, ma ne abbiamo un lancinante bisogno. E vorrei dire alle sorelle nella fede che l’annunzio della risurrezione è roba loro. Compito storico loro, che si sono ribellate alla morte ed hanno voluto onorare gli sconfitti delegittimando così ogni potere dell’uomo sull’uomo. È’ loro la missione di annunziare ai “fratelli” non solo che la pietra è rovesciata, che il sepolcro è vuoto, ma che ancora è nelle nostre possibilità accostarci all’impossibile: al “Verbo della vita che le nostre mani possono toccare ed i nostri occhi vedere”. Noi maschi, laici o in sacris che siamo, abbiamo bisogno di sentirci ripetere annunzi di “angeli folgoranti e biancovestiti”. Che possiamo lasciarci alle spalle le nostre voglie di successi, onori e soldi (proprio le voglie che oggi uccidono Cristo e lo stesso uomo), possiamo vivere di Vangelo, possiamo oltrepassare le bugie del potere imperiale che vuole morto per sempre “Cristo nostra vita”, possiamo essere umani, possiamo ritrovare il coraggio di affermare, contro ogni evidenza, che “un altro mondo è possibile”, che una Chiesa “altra” è possibile, che un uomo non più “conforme agli schemi di questo mondo” ma plasmato dalla “forma del Cristo” può camminare per le nostre città e lodare il Padre della vita nelle nostre Chiese.
(Angelo Scalia)
4. Celebriamo gli 80 anni della vita di Pedro Casaldaliga, quaranta dei quali passati dall’altro lato, all’interno dell’Amazzonia brasiliana. Lì, in una prelatura che abbraccia un terzo della Spagna, senza mai far ritorno da quando partì. “I poveri sono la pupilla dei miei occhi. Mi ha sempre spezzato il cuore vedere la povertà da vicino. Mi sono sempre trovato bene con gli esclusi. Sono incapace di assistere ad una sofferenza senza reagire. D’altra parte, non ho mai dimenticato di essere nato in una famiglia povera. Mi sento male in un ambiente borghese. Mi sono sempre chiesto perché, se posso vivere con tre camicie, ho bisogno di averne dieci nell’armadio. I poveri della mia prelatura vivono con due camicie, una addosso e l’altra di ricambio. Sono convinto che non si possa essere rivoluzionari nè profeti, nè liberi senza essere poveri. Se sono povero mi sento libero da tutto e per tutto. Il mio slogan e stato: essere libero per essere povero ed essere povero per essere libero”. Lo ha lasciato scritto in versi: “Non aver niente. / Non portare niente. / Non poter niente. / Non chiedere niente. / E, di passaggio, non uccidere nulla; / non mettere a tacere nulla. / Soltanto il Vangelo, come un coltello affilato, / e il pianto e il riso negli occhi, / e la mano tesa e stretta, / e la vita donata. / E questo sole, e questi fiumi, e questa terra comprata, / per testimoni di una rivoluzione già esplosa. / E più niente!”. Afferma”Credo, con la più tremante convinzione evangelica, che oggi, nel XXI secolo, un cristiano/a o è povero/a e/o visceralmente alleato/a dei poveri o non è. Nessuna delle note della Chiesa resta in piedi se si dimentica questa nota fondamentale, la più evangelica di tutte: l’opzione per i poveri”. La più grande passione della sua vita è il Dio di Gesù, una realtà ineludibile, una presenza certa, operante, mai svelata, che guida il nostro cammino, che anima tutto e verso cui tutto confluisce, il Dio degli esseri umani. Per Dio, per questo Dio ha optato Pedro ed è per questo Dio che ha optato per tutte le cause che ha fatto sue. Ha scritto Leonardo Boff: “Quando gli attuali e tormentati tempi saranno passati, quando i sospetti e le meschinità saranno stati ingoiati dalla voragine del tempo, quando ci guarderemo indietro e valuteremo gli ultimi decenni del XX secolo e gli inizi del XXI secolo, individueremo una stella nel cielo della nostra fede, rutilante, dopo aver fronteggiato nubi, sopportato oscurità e superato tempeste: è la figura semplice, povera, umile, spirituale e santa di un vescovo che, straniero, si fa compatriota, distante si fa prossimo e prossimo si fa fratello di tutti, fratello universale.
5. La mamma morì a soli 57 anni per un male incurabile. dopo terribili sofferenze; volle con sé nella bara tutti gli indumenti e oggetti che avevo portato a casa dopo la deportazione. Convinta che quei quattro stracci fossero quelli che mi avevano coperto a Mauthausen; fu un grande gesto d’amore, quasi un volere portare sempre con sé le mie sofferenze e quasi un dare inizio alla mia nuova vita di uomo ormai fatto.
(Marcello Martini, Un adolescente nel lager)