(E. Schmitt, Oscar e la dama in rosa, Milano 2004)
2. Gv 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati.
3. "Sentiamo la responsabilità di elaborare, assieme ad altre esperienze personali e comunitarie, nuovi stili di vita e una nuova impostazione etica che siano coerenti con la lotta contro le disuguaglianze sociali e contro la distruzione dell’ambiente. Perciò vogliamo capire e appropriarci di quelle pratiche alternative esistenti, che sono impegnate a percorrere strade alternative nel campo della produzione, dello scambio e del consumo, al fine di uscire dalla logica di un consumismo individualistico, competitivo e antisolidale, proposto e imposto dall’attuale sistema economico-sociale. La costruzione di una società sobria equa e solidale è possibile: sta nascendo un nuovo paradigma che partendo dalla critica alla logica della crescita illimitata pone al centro delle esistenze personali e collettive un’economia del sufficiente per tutte e tutti. Ne sono testimonianza e segni tante pratiche di sobrietà e di solidarietà, espressione non di un volontariato subalterno al dominio capitalistico esistente, ma di una sperimentazione multiforme, che apre orizzonti di una universale convivialità. (...).Perché abbiamo intravisto la possibilità di un sistema diverso, socialmente più giusto, più equo economicamente e vitale ecologicamente... noi siamo qui".
- Il dio “denaro” è responsabile della miseria, dell’accumulazione finanziaria e di ogni speculazione, della trasformazione dei servizi pubblici in merce, del rifiuto delle case farmaceutiche private di produrre medicinali a basso costo, ecc. Se non cominciamo a dichiarare “reato” ogni speculazione e se le chiese non cominciano a parlarne in termini di “peccato contro il 7° comandamento” resta e si consolida la consapevolezza che speculare e accumulare si può.
- La creazione ha un suo giusto equilibrio: non dobbiamo “custodire” nulla, perchè diventa subito dominio, giustificato dalla lettera e dalla lettura di Genesi “Tu dominerai”.
- Il bisogno di comunità è sommerso, ma molto forte e senza risposte. La povertà è consapevolezza di aver bisogno degli altri e delle altre. Si tratta di vita alternativa, non antagonista. Ci sono esperienze delle “comunità e famiglia” di Milano e dei “condomini solidali” di Torino.
4. Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le piaghe torpide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l’un l’altro”. (P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1963, p. 42) -- “Prima della morte fisica, regna nei campi la liquidazione dell’individualità attraverso lo smantellamento del volto, la cancellazione dei tratti sotto la durezza delle ossa che ricopre una pelle privata di carne. La stessa magrezza che conforta l’aguzzino nel sentimento di non avere a che fare con uomini, ma con un residuo che bisogna eliminare ponendosi solo problemi amministrativi e tecnici”. (D.Le Breton, Des visages, p. 287) -- “Tre giorni dopo la liberazione di Buchenwald io caddi gravemente ammalato: un’intossicazione. Fui trasferito all’ospedale e passai due settimane fra la vita e la morte. Un giorno riuscii ad alzarmi, dopo aver raccolto tutte le mie forze. Volevo vedermi nello specchio che era appeso al muro di fronte: non mi ero più visto dal ghetto. Dal fondo dello specchio un cadavere mi contemplava. Il suo sguardo nei miei occhi non mi lascia più»: (E. Wiesel, La notte, Giuntina, Firenze 1980, p. 112) -- Mumintroll gioca a nascondino con gli amici. Si nasconde nel cappello grande e nero di un vecchio mago senza sapere che tutto ciò che vi entra cambia aspetto. Quando Mumintroll esce dal cappello i suoi amici si ritraggono spaventati: il suo aspetto è cambiato e quasi mostruoso. Mumintroll non sa di essere cambiato e non capisce perché gli amici fuggono. In preda al panico, intrappolato nella solitudine delle sue nuove sembianze, cerca di spiegare che è lui, ma loro scappano via urlando per il terrore. In quel momento arriva la mamma di Mumintroll, lo guarda stupita e gli domanda chi è. Lui la supplica con lo sguardo di riconoscerlo perché se lei non lo capirà, come potrà vivere? Allora lei lo guarda negli occhi, osserva profondamente l’anima di quella creatura che non assomiglia affatto al suo caro figlioletto e dice con un sorriso: «Ma tu sei il mio Mumintroll». Il mostro, l’estraneo, svanisce e Mumintroll torna a essere quello di prima."
(T. Jansson, Racconti dalla valle dei Mumin, Salani, Firenze 1995).
5. Scenario: un campo allestito da «Médecìns sans frontières» al confine tra Thailandia e Cambogia. Due medici, Xavier Emmanuelli e Daniel Pavard, accolgono l’arrivo di un camion carico di persone ferite da colpi di mortaio. Di fronte a una giovane donna sventrata da un colpo di mortaio la diagnosi dei due medici è immediata e identica: non c’è nulla da fare. Ma mentre Xavier passa a un altro ferito, Daniel improvvisamente salta sulla piattaforma del camion, si pone dietro la donna ferita (che non aveva mai visto prima), la avvolge protettivo con le sue braccia lasciando che il viso di lei, traversato da sudori freddi, si appoggi sul suo petto, e comincia a parlarle delicatamente (senza che lei possa comprendere una sola parola) e a carezzarle i capelli. Morirà tra le braccia di uno sconosciuto, liberata non certo dalla morte né dai dolori, ma da quella paura che accompagna così spesso il morente: il terrore di morire solo, abbandonato. E di morire così due volte. «Accompagnando la solitudine dell’essere vivente fino all’estremo limite in cui è possibile tenergli compagnia, Daniel ha abolito la solitudine di questa donna morente e, nello stesso tempo, ora lo so con certezza, la solitudine umana universale, per un istante”.
(X.Emmanuelli, Prelude a la symphonie du nuoveau monde, Odile Jacob, Paris 1998, pp.199-123)
6. «Portare i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). La legge di Cristo è una legge del «portare». Portare vuol dire sopportare, soffrire insieme. Il fratello è un peso per il cristiano. Solo se è un peso, l’altro è veramente un fratello e non un oggetto da dominare. Il peso degli uomini per Dio stesso è stato così grave che Egli ha dovuto piegarsi sotto questo peso e lasciarsi crocifiggere. Dio ha veramente sopportato gli uomini nel corpo di Cristo ... Nel sopportare gli uomini Dio ha mantenuto la comunione con loro. E la legge di Cristo che si è compiuta sulla croce. Ed i cristiani partecipano a questa legge. Essi devono sopportare il fratello; ma quello che è più importante, essi sono anche in grado di portare il fratello, sotto la legge che è compiuta in Cristo. La Scrittura parla spesso di «portare». Essa esprime con queste parole tutta l’opera di Cristo: «Erano le nostre malattie che Egli portava; erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato» (Is 53,4-19).
(Dietrich Bonhoeffer)
7. Poiché Abba Bishoi, monaco copto del IV-V secolo fruiva di frequenti visioni di Cristo, alcuni monaci gli chiesero di guidarli a incontrare Cristo. Disse ai monaci di recarsi in un certo posto nel deserto, dove avrebbero trovato Cristo ad attenderli. Lungo il cammino essi videro, ai lati della strada, un uomo anziano, malato e sfinito, che chiedeva loro di portarlo perché non ce la faceva più a camminare. Ma essi, desiderosi di incontrare Cristo, ignorarono le suppliche dell’anziano. In coda alloro gruppo giunse Bishoi che, quando vide l’anziano malato, se lo caricò sulle spalle portandolo lungo la strada. Giunto là dove i monaci attendevano Cristo sentì il peso dell’uomo farsi più leggero, poté rialzare la schiena e constatare che l’anziano era scomparso. Allora rivelò: Cristo era seduto lungo la strada, e aspettava qualcuno che lo aiutasse. Nella loro fretta di vedere Cristo si erano dimenticati di essere cristiani.
(O. F. A. Meinardus, Monks and Monasteries of the Egyptian Deserts, Cairo 1992, p. 105).