Domenica 18 maggio 2008
Giovanni 3,16-18
In quel tempo, disse Gesù a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.
1. «Se dovessi scrivere una dottrina morale il libro avrebbe 100 pagine e 99 sarebbero bianche. Sull’ultima però scriverei: conosco un unico dovere, il dovere di amare». (Camus)
2. I pedagogisti più illuminati lo sostengono da tempo, i ragazzi poi non possono che essere d’accordo: la punizione non paga. Ora lo sostiene anche una ricerca scientifica americana, secondo la quale il castigo è addirittura un comportamento da perdenti. Nello studio, guidato da Martin Nowak della Harvard University e pubblicato su Nature, i ricercatori hanno valutato le diverse reazioni di un gruppo di volontari cui è stato chiesto di giocare al “Dilemma del prigioniero”, un problema di teoria dei giochi ampiamente studiato come modello in economia e sociologia. Il gioco cattura perfettamente la tensione che si crea fra gli interessi individuali e quelli del gruppo, e il classico paradigma della cooperazione. Lo studio ha rivelato che sono i perdenti a punire, mentre chi colleziona più punti al gioco tende invece a non punire mai. Uno dei coautori della ricerca non usa mezzi termini: «I vincenti non puniscono» dice David G. Rand, della Harvard University. Non lo fanno perché il castigo genera una spirale di vendetta, che può avere conseguenze distruttive per tutte le persone coinvolte. Nella versione del gioco utilizzata nell’esperimento, i volontari avevano diverse opzioni di vincita o perdita, collegate allo stesso tempo alle mosse degli altri. Ciascun giocatore può decidere di “cooperare” con gli avversari, di pensare solo ai propri interessi o di punire l’avversario, accettando al tempo stesso una perdita personale. Alla fine delle diverse prove i cinque giocatori risultati in cima alla classifica dei vincitori avevano scelto di non punire mai l’avversario. All’estremo opposto si sono piazzati quelli che avevano usato la punizione frequentemente, perdendo. Il castigo, concludono i ricercatori, non è una buona strategia per promuovere la cooperazione, ma corrisponde ad altre esigenze, come quella di rinforzare una gerarchia di comando o difendere una proprietà. E ammoniscono: in una società competitiva come quella di oggi, vince chi resiste alla tentazione di esasperare i conflitti, mentre chi sceglie di punire, perde, vittima della sua stessa arma.
3. Leggendo i suoi componimenti soprattutto le rime spirituali, mi sono resa conto che Vittoria Colonna cita la Bibbia continuamente. In una lettera indirizzata ad Ochino fa una riflessione sull’episodio dell’adultera, sottolineando come normalmente i teologi la ritraessero tremante davanti a Gesù, essendo egli “il giudice”. La Colonna propone una lettura diversa: “Et io ardisco dire il contrario”. A suo parere, quella donna non può essere tremante davanti a Gesù, perché non vede in Gesù un giudice, bensì il misericordioso: non tremante, dunque, ma piena di fiducia. Così pure nella lettura che fa della Maddalena, ella sottolinea l’importanza del suo essere penitente, ma anche apostola; una sottolineatura andata perduta nella storia dell’esegesi cristiana, la quale nella Maddalena ha preferito piuttosto vedere la prostituta pentita piuttosto che l’apostola, l’amata discepola. Domenica da Paradiso donna analfabeta, contadina, bizzoca e, quindi, “laica”, era una conoscitrice della Bibbia. Commentando 1 Cor 14,34 “Le donne tacciano in assemblea” afferma che “gli uomini di chiesa non hanno capito nulla, perché Paolo non poteva mettere il bavaglio a Dio. Dio nella sua libertà può chiamare chiunque a predicare; può mai Paolo dire “non possono parlare”. Dio ha chiamato tanti a predicare .... non può chiamare anche le donne? La chiesa è piena di donne” e continua citando santa Caterina da Siena e le grandi sante che hanno fatto ”grande” la Chiesa. Quello di Paolo era un richiamo esplicito e diretto alle donne di Corinto in quanto “facevano chiasso”. Domenica fornisce, dunque, una lettura storicizzata: facevano chiasso, cioè creavano disturbo. Richiama, poi, nuovamente Paolo affermando che: “Dio sceglie le donne perché vuol confondere, attraverso l’umiltà delle donne, l’orgoglio degli uomini”.
4. Il libro di Ruth parla di Noemi, una donna ebrea la quale, vittima della carestia, si trasferisce a Moab, in terra straniera, dove vede morire entrambi i figli rimanendo con le due nuore. Cessata la carestia, decide di tornare in Israele, ma solo Ruth la segue e lì, per sopravvivere, Ruth va a spigolare nella terra di Booz, loro parente. Non appena Noemi viene a conoscenza del fatto, tutta contenta, suggerisce alla nuora di farsi bella per attirarne l’attenzione. Ruth si fa trovare tutta agghindata nel letto di Booz e fa in modo che egli non solo la sposi, ma riscatti anche Noemi. Il testo è stato scritto durante il periodo di Esdra e Neemia che, tornati dall’esilio, assumono il ruolo di coloro che ricreano l’identità del popolo ebraico attraverso la costruzione del Tempio, la fedeltà alla Legge e, soprattutto, il mantenimento della purezza della razza, che vuol dire no ai matrimoni misti e di conseguenza divieto di sposare donne straniere. Sapere allora che il libro di Ruth è stato scritto contemporaneamente al libro di Esdra e Neemia significa riconoscere che si tratta un libro di tendenza, una risposta polemica all’orientamento, sottolineato da Esdra e Neemia, a non sposare donne straniere. E, addirittura, una straniera che ha sfamato Noemi (=Jsraele) ed è una straniera, addirittura, l’antenata di Davide. Siamo in presenza di un testo polemico, soprattutto verso la decisione di chiudere il popolo ebraico nei confronti dei popoli stranieri; un testo probabilmente scritto da una donna, da donne, in quanto difende i diritti delle donne: non a caso, infatti, il figlio che nascerà non sarà chiamato figlio né del marito di Noemi, né del marito di Ruth, bensì figlio di Noemi. C’è quindi una forte sottolineatura della personalità dì queste donne, che difendono i propri diritti attraverso i cavilli delle stessi leggi ebraiche, leggi fatte a vantaggio degli uomini e non delle donne. (Fischer)
5. Di solito noi, a Korogocho, ogni sera, dalle sei alle dieci, celebriamo due eucarestie a fianco dei letti dei malati di AIDS, per dire loro che Dio è il loro papi, che vuole loro bene. Mi ricordo che quella sera non c’era la piccola comunità cristiana; sono andato là con altri due preti e mi sono seduto a fianco del letto di Florence. Era già quasi notte: ho messo il pane e il vino, il Vangelo, e poi avevo in mano un cero. Ho detto a Florence: «Per favore, accendi il cero». Lo ha acceso. Il volto di Florence si è illuminato. Ma il volto era già tutto chiazzato, Florence era in fase terminale. Mi è venuto spontaneo chiederle: «Dimmi, Florence, ma chi è Dio per te?». Lei, di botto, in dialetto swahili, mi ha detto: «Dio è mamma». Sua madre l’aveva abbandonata la sera prima: stava morendo sola come un cane. Ecco perché eravamo andati da lei. «Posso farti una seconda domanda? Ma chi è il volto di Dio per te?». Lei è rimasta lì in silenzio, per un minuto. Poi, improvvisamente, sul suo viso nasce un’altro bellissimo sorriso e dice: «Sono io il volto di Dio!». Sono questi i volti, sono i volti dei crocifissi con cui dobbiamo confrontarci. Non c’è via di scampo. Non sono numeri! Per favore! Sono volti. Sono volti come i nostri. Sono i volti di Dio. Se Dio c’è, sono io il volto di Dio, come diceva Florence. (Zanotelli)
6. «Il mondo sarà salvato, se potrà esserlo, solo dagli indomabili. Senza di loro, sarebbe finita la nostra civiltà, la nostra cultura, ciò che amiamo. Essi danno alla nostra presenza sulla terra una giustificazione segreta. Questi indomabili, sono il sale della terra». (Gide)
7. «Dio non ci chiederà conto del numero dei salvati, ma del numero degli evangelizzati». (L. Milani)
Giovanni 3,16-18
In quel tempo, disse Gesù a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.
1. «Se dovessi scrivere una dottrina morale il libro avrebbe 100 pagine e 99 sarebbero bianche. Sull’ultima però scriverei: conosco un unico dovere, il dovere di amare». (Camus)
2. I pedagogisti più illuminati lo sostengono da tempo, i ragazzi poi non possono che essere d’accordo: la punizione non paga. Ora lo sostiene anche una ricerca scientifica americana, secondo la quale il castigo è addirittura un comportamento da perdenti. Nello studio, guidato da Martin Nowak della Harvard University e pubblicato su Nature, i ricercatori hanno valutato le diverse reazioni di un gruppo di volontari cui è stato chiesto di giocare al “Dilemma del prigioniero”, un problema di teoria dei giochi ampiamente studiato come modello in economia e sociologia. Il gioco cattura perfettamente la tensione che si crea fra gli interessi individuali e quelli del gruppo, e il classico paradigma della cooperazione. Lo studio ha rivelato che sono i perdenti a punire, mentre chi colleziona più punti al gioco tende invece a non punire mai. Uno dei coautori della ricerca non usa mezzi termini: «I vincenti non puniscono» dice David G. Rand, della Harvard University. Non lo fanno perché il castigo genera una spirale di vendetta, che può avere conseguenze distruttive per tutte le persone coinvolte. Nella versione del gioco utilizzata nell’esperimento, i volontari avevano diverse opzioni di vincita o perdita, collegate allo stesso tempo alle mosse degli altri. Ciascun giocatore può decidere di “cooperare” con gli avversari, di pensare solo ai propri interessi o di punire l’avversario, accettando al tempo stesso una perdita personale. Alla fine delle diverse prove i cinque giocatori risultati in cima alla classifica dei vincitori avevano scelto di non punire mai l’avversario. All’estremo opposto si sono piazzati quelli che avevano usato la punizione frequentemente, perdendo. Il castigo, concludono i ricercatori, non è una buona strategia per promuovere la cooperazione, ma corrisponde ad altre esigenze, come quella di rinforzare una gerarchia di comando o difendere una proprietà. E ammoniscono: in una società competitiva come quella di oggi, vince chi resiste alla tentazione di esasperare i conflitti, mentre chi sceglie di punire, perde, vittima della sua stessa arma.
3. Leggendo i suoi componimenti soprattutto le rime spirituali, mi sono resa conto che Vittoria Colonna cita la Bibbia continuamente. In una lettera indirizzata ad Ochino fa una riflessione sull’episodio dell’adultera, sottolineando come normalmente i teologi la ritraessero tremante davanti a Gesù, essendo egli “il giudice”. La Colonna propone una lettura diversa: “Et io ardisco dire il contrario”. A suo parere, quella donna non può essere tremante davanti a Gesù, perché non vede in Gesù un giudice, bensì il misericordioso: non tremante, dunque, ma piena di fiducia. Così pure nella lettura che fa della Maddalena, ella sottolinea l’importanza del suo essere penitente, ma anche apostola; una sottolineatura andata perduta nella storia dell’esegesi cristiana, la quale nella Maddalena ha preferito piuttosto vedere la prostituta pentita piuttosto che l’apostola, l’amata discepola. Domenica da Paradiso donna analfabeta, contadina, bizzoca e, quindi, “laica”, era una conoscitrice della Bibbia. Commentando 1 Cor 14,34 “Le donne tacciano in assemblea” afferma che “gli uomini di chiesa non hanno capito nulla, perché Paolo non poteva mettere il bavaglio a Dio. Dio nella sua libertà può chiamare chiunque a predicare; può mai Paolo dire “non possono parlare”. Dio ha chiamato tanti a predicare .... non può chiamare anche le donne? La chiesa è piena di donne” e continua citando santa Caterina da Siena e le grandi sante che hanno fatto ”grande” la Chiesa. Quello di Paolo era un richiamo esplicito e diretto alle donne di Corinto in quanto “facevano chiasso”. Domenica fornisce, dunque, una lettura storicizzata: facevano chiasso, cioè creavano disturbo. Richiama, poi, nuovamente Paolo affermando che: “Dio sceglie le donne perché vuol confondere, attraverso l’umiltà delle donne, l’orgoglio degli uomini”.
4. Il libro di Ruth parla di Noemi, una donna ebrea la quale, vittima della carestia, si trasferisce a Moab, in terra straniera, dove vede morire entrambi i figli rimanendo con le due nuore. Cessata la carestia, decide di tornare in Israele, ma solo Ruth la segue e lì, per sopravvivere, Ruth va a spigolare nella terra di Booz, loro parente. Non appena Noemi viene a conoscenza del fatto, tutta contenta, suggerisce alla nuora di farsi bella per attirarne l’attenzione. Ruth si fa trovare tutta agghindata nel letto di Booz e fa in modo che egli non solo la sposi, ma riscatti anche Noemi. Il testo è stato scritto durante il periodo di Esdra e Neemia che, tornati dall’esilio, assumono il ruolo di coloro che ricreano l’identità del popolo ebraico attraverso la costruzione del Tempio, la fedeltà alla Legge e, soprattutto, il mantenimento della purezza della razza, che vuol dire no ai matrimoni misti e di conseguenza divieto di sposare donne straniere. Sapere allora che il libro di Ruth è stato scritto contemporaneamente al libro di Esdra e Neemia significa riconoscere che si tratta un libro di tendenza, una risposta polemica all’orientamento, sottolineato da Esdra e Neemia, a non sposare donne straniere. E, addirittura, una straniera che ha sfamato Noemi (=Jsraele) ed è una straniera, addirittura, l’antenata di Davide. Siamo in presenza di un testo polemico, soprattutto verso la decisione di chiudere il popolo ebraico nei confronti dei popoli stranieri; un testo probabilmente scritto da una donna, da donne, in quanto difende i diritti delle donne: non a caso, infatti, il figlio che nascerà non sarà chiamato figlio né del marito di Noemi, né del marito di Ruth, bensì figlio di Noemi. C’è quindi una forte sottolineatura della personalità dì queste donne, che difendono i propri diritti attraverso i cavilli delle stessi leggi ebraiche, leggi fatte a vantaggio degli uomini e non delle donne. (Fischer)
5. Di solito noi, a Korogocho, ogni sera, dalle sei alle dieci, celebriamo due eucarestie a fianco dei letti dei malati di AIDS, per dire loro che Dio è il loro papi, che vuole loro bene. Mi ricordo che quella sera non c’era la piccola comunità cristiana; sono andato là con altri due preti e mi sono seduto a fianco del letto di Florence. Era già quasi notte: ho messo il pane e il vino, il Vangelo, e poi avevo in mano un cero. Ho detto a Florence: «Per favore, accendi il cero». Lo ha acceso. Il volto di Florence si è illuminato. Ma il volto era già tutto chiazzato, Florence era in fase terminale. Mi è venuto spontaneo chiederle: «Dimmi, Florence, ma chi è Dio per te?». Lei, di botto, in dialetto swahili, mi ha detto: «Dio è mamma». Sua madre l’aveva abbandonata la sera prima: stava morendo sola come un cane. Ecco perché eravamo andati da lei. «Posso farti una seconda domanda? Ma chi è il volto di Dio per te?». Lei è rimasta lì in silenzio, per un minuto. Poi, improvvisamente, sul suo viso nasce un’altro bellissimo sorriso e dice: «Sono io il volto di Dio!». Sono questi i volti, sono i volti dei crocifissi con cui dobbiamo confrontarci. Non c’è via di scampo. Non sono numeri! Per favore! Sono volti. Sono volti come i nostri. Sono i volti di Dio. Se Dio c’è, sono io il volto di Dio, come diceva Florence. (Zanotelli)
6. «Il mondo sarà salvato, se potrà esserlo, solo dagli indomabili. Senza di loro, sarebbe finita la nostra civiltà, la nostra cultura, ciò che amiamo. Essi danno alla nostra presenza sulla terra una giustificazione segreta. Questi indomabili, sono il sale della terra». (Gide)
7. «Dio non ci chiederà conto del numero dei salvati, ma del numero degli evangelizzati». (L. Milani)